Ho letto con interesse e piacere il libro di Maurilio Orbecchi “Biologia dell’anima”, Bollati Boringhieri http://www.ibs.it/code/9788833926483/orbecchi-maurilio/biologia-dell-anima.html.
Conosco l’autore, ne avevo già parlato in questo post http://wp.me/s2K0NN-janet, in occasione dell’uscita del libro di Janet di cui aveva scritto la prefazione.
Quello che ho provato leggendo il suo libro ora è stato un grande senso di libertà.
Maurilio Orbecchi rivede i grandi “dogmi” della psicoanalisi alla luce delle neuroscienze: porta un pensiero scientifico laddove per così tanti anni è fiorito un pensiero ideologico, un’adesione poco critica a un sapere di scuola.
Non parlerò dei contenuti: per quelli vi invito a leggere il libro, scritto bene e accessibile anche ai non strettamente addetti ai lavori.
Quello che voglio condividere è la sensazione liberatoria che mi ha trasmesso. Vengo da una formazione analitica psicodinamica junghiana, ma anche quella freudiana è stata per me oggetto di studio. Per anni abbiamo parlato di transfert, complesso di Edipo, archetipi… E che questi (ed altri) concetti fossero così chiari per me, non direi. Ma ci consideravamo umanisti, mica scienziati. Il potere evocativo delle metafore, anche se talvolta un po’ fumose, era orgogliosamente più ricco e complesso di una qualunque dimostrazione scientifica.
Poi negli anni, altri studi, altre letture hanno iniziato a fare presa nella mia formazione. I vecchi concetti sono rimasti in sottofondo, e altri hanno cominciato a farsi pratica. Il bello del libro di Maurilio Orbecchi è che in modo sistematico riprende i concetti fondanti della psicoanalisi e li rivede alla luce delle scoperte delle neuroscienze.
Ecco, leggendo spesso ho pensato a quanti concetti noi psicologi abbiamo dato per veri, senza che lo fossero, a quanta forza ha il pensiero che si nutre di emozioni, quanto lo spirito del tempo in cui siamo immersi condiziona non solo la nostra visione del mondo ma il nostro stesso pensiero.
“Laicità non significa solo chiusura agli elementi religiosi e irrazionali nel setting; significa anche non sostituire la religione tradizionale con le credenze del modello metafisico-psicologico di riferimento della propria scuola. Questo significa saper riconoscere le debolezze del proprio quadro teorico: non c’è laicità quando si rimane attaccati a ipotesi non confermate e non è scientifico evitare il confronto con tutte le discipline scientifiche che hanno a che fare con il comportamento e il sistema mente/cervello. La laicità scientifica presuppone la disponibilità al sacrificio delle parti superate del proprio modello interpretativo.” (pag.160)
Questo trovo meraviglioso del mondo laico: la libertà. Libertà di pensare, dialogare, mettere in discussione. Libertà di confrontarsi e impegno morale per mantenere una mente aperta e critica.
“Cambiare è difficile. È doloroso abbandonare schemi e riferimenti sostenuti per decenni. Si tratta di modi di pensare che sono diventati compagni di strada che ci hanno orientato per tanto tempo. Eppure, occorre essere disposti a una trattativa continua con il vecchio modo di pensare.” (pag.161).
Mi piace molto questa riflessione: l’ho sperimentata nella mia vita e nel lavoro. E ringrazio Maurilio Orbecchi per aver sempre testimoniato nella sua vita e nel lavoro la necessità di trattare continuamente col proprio modo di pensare.
Buona lettura!
