Forse tutti ci siamo lanciati in qualche speculazione filosofica sulla realtà. Magari -davanti a un bel tramonto- ci sarà scappata la fatidica domanda: “ma i colori che vedo io, saranno esattamente quelli che vedi tu?”
Poi, però, nella vita quotidiana, diamo per scontato che la realtà sia condivisa, e che tutti ne facciamo la stessa esperienza: il rosso è rosso, se stiamo guardando la stessa scena vediamo le stesse cose, la cioccolata è cioccolata. Può essere che non ti piaccia (evento raro) ma rimane cioccolata.
La questione, però, è più complessa.
La percezione della realtà non è così oggettiva, ma è continuamente interpretata dal nostro cervello.
Mike May divenne cieco all’età di tre anni a causa di un’esplosione. A quarantatré un intervento gli ridiede la vista. Quando gli tolsero le bende ciò che vide non era ciò che lui e tutti gli altri si aspettavano: era un’esplosione di forme e colori senza senso. I suoi occhi vedevano benissimo, ma il suo cervello non era ancora in grado di decifrare tutti quegli input: doveva imparare a vedere.
Il fatto è che il nostro cervello interpreta i dati in modo attivo, non è un passivo recettore.
Noi percepiamo quel che ci dice il cervello.
La nostra esperienza percettiva ci dice che stiamo vedendo forme in movimento, anche se sappiamo che il movimento non c’è.
(Se non riuscite a vedere il movimento, cliccate sull’immagine per ingrandirla).
Qui il cervello rimane spiazzato e passa da un’interpretazione a un’altra: volti o vaso, suonatore di sax o volto…
Anche qui accadono cose curiose: un triangolo bianco che non c’è ma che vediamo… linee lunghe uguali che ci sembrano invece diverse…
Il fatto è che quando guardiamo entrano in gioco le nostre aspettative, le nostre esperienze del mondo, le domande e le risposte che abbiamo in testa e attraverso le quali osserviamo la realtà, e tutto questo influisce sulla nostra percezione.
“…la prima lezione da apprendere sull’opportunità di fidarsi dei propri sensi è quindi di non fidarsene. Il mero fatto che crediate che una cosa sia vera, il mero fatto che sappiate che è vera, non significa che lo sia davvero. (…)
Dopotutto, siamo consapevoli di ben poco di quanto c’è “là fuori”. Il cervello formula assunti per risparmiare tempo e risorse, e cerca di vedere il mondo solo nella misura in cui gli occorre vederlo.” David Eagleman, In incognito
“…si riscontrano nella popolazione leggere differenze nella funzione cerebrale e a volte queste si traducono direttamente in maniere diverse di esperire il mondo; e ciascun individuo crede che la sua maniera sia la realtà” ibidem (il grassetto è mio)
Un esempio: la sinestesia. Ci sono persone che sentono il gusto di un colore, vedono un suono, sentono al tatto una musica. La sinestesia è una fusione di distinte percezioni sensoriali.
“La sinestesia è il risultato di un aumentato dialogo tra aree sensoriali del cervello (immaginatevi, sulla mappa cerebrale, delle nazioni vicine con confini permeabili), e questo dialogo deriva da minime variazioni genetiche che vengono trasmesse di padre in figlio. Pensate: variazioni microscopiche del cablaggio cerebrale conducono a realtà differenti.”
La sinestesia ci ricorda “come ciascun cervello determini in maniera unica ciò che percepisce o è capace di percepire. (…)
La realtà è molto più soggettiva di quanto non si ritenga comunemente: anziché essere registrata passivamente, è attivamente costruita dal cervello.”
Ibidem
Vediamo tramonti diversi, con differenti stati emotivi che arrivano da lunghe e diverse storie personali. La cosa sorprendente è che tutte queste differenze non ci impediscono di sentire insieme, di emozionarci insieme, di dialogare e, addirittura, di capirci.
Non smetterò mai di stupirmi di tanta meravigliosa complessità.
P.S. I contributi fotografici sono presi da internet, gironzolando un po’ tra le immagini di effetti ottici proposte da Google.