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Ci vuole una vita per fare una vita

Ascolto storie, accolgo dolori.
In ospedale riguardano perlopiù gli accadimenti del presente, mentre in studio -vestiti con gli abiti dell’oggi- arrivano i dolori antichi.
Sono dolori che dopo anni emergono intatti, come se il tempo non fosse passato; esperienze di vita intrappolate e conservate nella memoria come insetti nell’ambra; fardelli che gravano sulle spalle e rallentano l’andatura, a volte quasi la bloccano.
Quando però il dolore si libera, l’ambra lascia volare via l’insetto prigioniero, il fardello si alleggerisce, ecco che -a volte- arriva un nuovo ostacolo: il rimpianto, con la rabbia e il dolore per ciò che avrebbe potuto essere se…
“Eh, se avessi saputo allora quel che so adesso…”; “se mi fossi visto allora con gli occhi di oggi…”; “se avessi capito prima, se mi fossi fatto aiutare prima, se avessi risolto allora…”
Avrei vissuto meglio, sarei stato più sereno, avrei avuto più possibilità…
Ma non è andata così.
C’è voluto tempo, ed è stato necessario attraversare esperienze, fatiche, dolori, riflessioni, prese di coscienza. Passi apparentemente semplici hanno invece richiesto anni.
Ci vuole una vita per fare una vita.
E poi, se possibile, bisogna fare pace con ciò che avrebbe potuto essere e non è stato.
Se possibile, bisogna guardare con amorevolezza e comprensione quel che invece è stato ed è.
Riconoscere senso nel percorso, così com’è stato.
Non è indolore, e anche riconoscere senso nel percorso è un percorso, che muta nel tempo, che incontra pianure, salite, scivolate.
Ci vuole una vita per fare una vita.