Oggi sono contenta: lo vedo un po’ meglio”; “Sta facendo progressi, oggi è arrivata fino in bagno da sola”; “Oggi è stata una brutta giornata, ma domani, speriamo vada meglio…”; “Comincio a sentire che un po’ la gamba risponde, è un buon segno, speriamo!”
Ogni giorno ascolto parole che, in qualche modo, richiamano la speranza: frammenti di luce che appaiono in fondo a un tunnel, piccoli spiragli in muri senza fine.
Piccoli spiragli. A volte molto molto piccoli, ma che comunque fanno passare quel po’ di ossigeno che consente di rifiatare.
Altre volte la speranza è irrealistica, è l’illusione che tutto torni come prima, o che una qualche divinità renda possibile l’impossibile, perché i miracoli ogni tanto possono anche accadere…
Ogni giorno ascolto parole e vedo sguardi, volti che raccontano le fatiche e i dolori che stanno attraversando. Quei volti e quegli sguardi aspettano il più piccolo appiglio per aggrapparsi, per non sentirsi sopraffatti dalla vita.
Ogni giorno operatori sanitari e sociali hanno addosso quegli sguardi, e sotto quella pressione devono parlare, comunicare, spiegare, informare…
Un attimo e sei nell’illusione; un attimo e sei nello sconforto. Camminiamo tutti sul filo del rasoio: pazienti, familiari, operatori. E’ molto difficile stare nella realtà, senza illusioni, senza false speranze.
La realtà è un percorso: quando è troppo dura abbiamo bisogno di tempo per comprenderla, assimilarla. Un tempo per reggere l’urto, non venirne travolti, assorbire il colpo e poi lentamente reagire, trovare i nuovi possibili assestamenti, le risorse per far fronte alla nuova realtà.
E in questo tempo c’è un nutrimento indispensabile che non può mancare, ma che -come un farmaco- necessita del giusto dosaggio: la speranza.
Il nostro cervello ha bisogno di vedere una possibilità, di prefigurarsi una qualche possibile strada o sentiero che sia. E può anche darsi che nel percorso quella strada si riveli poi chiusa, ma intanto il pensarla ha consentito di muoversi, di andare avanti, e magari di trovare un altro sentiero possibile.
Il confine tra illusione e speranza è labile, molto labile. Eppure è su quel confine che spesso ci troviamo tutti, nelle nostre vite. Su quel confine lavoro, su quel confine vivo molti momenti della mia vita personale.
“Felicità raggiunta, si cammina
per te sul fil di lama.
Agli occhi sei barlume che vacilla,
al piede, teso ghiaccio che s’incrina;
e dunque non ti tocchi chi più t’ama.
Se giungi sulle anime invase
di tristezza e le schiari, il tuo mattino
è dolce e turbatore come i nidi delle cimase.
Ma nulla paga il pianto di un bambino
a cui fugge il pallone tra le case.” (Montale)
Felicità e speranza hanno nella loro natura lo stesso difficile equilibrio.
A volte, vanno a braccetto. E allora vorremmo solo che durassero.
Ma camminiamo sul fil di lama, e a ogni scivolata dobbiamo cercare di riprendere l’equilibrio.
Che poi, la speranza si può declinare in tanti modi. “Quando non vedi l’uscita dal tunnel, arredalo”. E’ una battuta, ma anche una profonda e benefica verità.