“Non l’accetto, non l’accetterò mai.” Due occhi azzurri mi guardano, tristi; occhi di bambino invecchiato. L’ictus ha spazzato via progetti e reso amari i desideri non più realizzabili, e ancora così vivi. L’ha scaraventato in una vita che non riconosce più come sua.
Per quanto le storie siano molto diverse, mi fa pensare ai transgender, identità imprigionate in corpi estranei, non sintonici. Anche l’uomo che mi sta di fronte è imprigionato in un corpo che sente estraneo, che non è più sintonico; un corpo che l’ha tradito.
E dentro a quel corpo, uno spirito giovane, forse troppo per la sua età. Non lo aiuta, in queste circostanze. L’ha spinto in avanti nella sua vita attiva, ma ora lo trattiene in un passato che non sarà più, con strumenti inadeguati per far fronte a un presente che invece c’è, duro, senza sconti.
Ogni tanto quegli occhi ridono ancora: l’intelligenza e l’ironia non gli mancano. In un lampo, si intravvede l’uomo che è stato. In quegli occhi che brillano traspare la sua vitalità, ma è un attimo, e subito si vela.
Così come in un attimo la sua vita è cambiata, e quell’accidente cerebrale gli ha sottratto ciò a cui teneva di più, le cose per lui più importanti. Via il lavoro, via l’indipendenza, via la possibilità di guadagnare, via molti che credeva amici. E fra poco via anche dal paese che ha amato, in cui ha sempre desiderato vivere, per rientrare nel paese in cui è nato e che non ha mai amato, che ha sempre sentito estraneo, freddo, lontano da sé.
La vita può essere molto dura.
Torno a casa, alla mia vita. Ha smesso di piovere, mi affaccio alla finestra. Da quella accanto fanno capolino dei gerani. Benvenuti, stasera. Siete una sorpresa. Un guizzo di colore, di gioia.